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Esopo e la palla

Perché il vecchio Esopo gioca a palla nella piazza del mercato?

Esopo è un grande scrittore di favole, un maestro, una persona serissima! Ma come dice il drago Scott: anche le persone serie hanno bisogno di divertirsi!

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Esopo e la palla

Antica Grecia, tanto, ma tanto tempo fa. Ad Atene, vive un uomo che si chiama Esopo. Esopo è molto anziano, con una lunga barba grigia. Esopo è anche molto saggio, uno scrittore, un maestro, una persona serissima:

«Nella vita bisogna sempre comportarsi bene, studiare molto e fare sempre i compiti!»

«Bravo, maestro!»

Tutti gli ateniesi pensano che Esopo sia una persona molto saggia e molte persone, ogni giorno, vanno da lui per imparare. 

Un giorno, un discepolo di Esopo (che vuol dire una persona che segue sempre tutte le lezioni di Esopo) passeggia nella piazza del mercato di Atene. La piazza è piena di bancarelle con frutta, fiori, profumi…

«Pallaaaa!!!!»

Il discepolo di Esopo si scansa appena in tempo: una grossa palla gli sfiora l’orecchio, atterra nella piazza e rotola via. 

Dietro la palla, una frotta di ragazzini sporchi, sudati, arruffati, pieni di fango: «Pallaaa!!!!»

In mezzo ai ragazzini, sudato, sporco, arruffato, pieno di fango: «Pallaaaa!!!!» Il vecchio e saggio Esopo.

Il discepolo di Esopo rimane di sasso. La palla, i ragazzini e Esopo corrono via in mezzo alla piazza.

Il discepolo di Esopo li segue di corsa: «Maestro! Maestro!»

Il vecchio Esopo si ferma di botto: «Mmmm? Chi mi chiama?»

Il discepolo lo raggiunge di corsa: «Maestro! Maestro! Ma è impazzito?»

«Impazzito? E perché?»

«Ma, ma sta giocando a palla! Una persona seria come lei…» 

«Figliolo –  Esopo allunga un braccio e prende un arco da una bancarella – vedi questo arco? È un pezzo di legno con attaccata una corda.

Se lascio la corda sempre tesa, il legno – crack! – si spezza e ti saluto, arco.

Allo stesso modo, non si può mica essere saggi e seri tutto il tempo! Bisogna uscire all’aria aperta, muoversi, correre, divertirsi! Non si può lavorare ventiquattr’ore al giorno! Il cervello ha bisogno di rilassarsi, di divertirsi… se no, ti saluto cervello!»

Dal fondo della piazza, uno dei ragazzini: «Esopo, palla!!» 

Esopo rimette a posto l’arco: «Adesso scusami figliolo, devo proprio andare. Pallaaa!!» 

Esopo corre via dietro alla palla.

Il discepolo di Esopo… «Maestro… Aspetti… Pallaaaa!»

Il discepolo corre via, dietro alla palla.

Anche l’anima ha bisogno di giocare.

Fedro

☞ Questa storia è ispirata a una favola di Fedro.

Nota: questi non sono i testi originali delle storie, ma le versioni raccontate da Silvia nel podcast. Puoi condividerle, ma non copiarle e devi sempre citare la fonte e il sito. Il modo più semplice? Condividi il link della pagina!

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L’usignolo

Nel giardino di un grande imperatore, vive un piccolo usignolo dal canto prodigioso.

Al drago Scott piacerebbe tanto essere imperatore, ma il potere e la ricchezza basteranno per comprare un vero amico?

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L’usignolo

Il palazzo dell’imperatore della Cina era il più grande e il più bello di tutto il mondo. Le pareti erano fatte di giada, i tetti erano d’oro, le finestre di cristallo purissimo. Tutto intorno al palazzo c’era un immenso giardino, con sentieri, fiori, fontane, alberi altissimi. Oltre il giardino, un bosco. Oltre il bosco, il mare.

Sull’albero più alto del giardino dell’imperatore, aveva fatto il suo nido un usignolo.

Ogni sera, l’usignolo saliva sul ramo più alto dell’albero più alto del giardino dell’imperatore, apriva il becco e cantava. Quando l’usignolo cantava, sul giardino, sul bosco e sul mare scendeva il silenzio. Tutti gli animali del bosco si fermavano per ascoltare, le onde del mare si fermavano per ascoltare e persino la luna scendeva nel cielo a illuminare il ramo su cui cantava l’usignolo. 

Ogni anno molte persone venivano a visitare il palazzo dell’imperatore. Passeggiavano per il palazzo e dicevano: «Magnifico palazzo!» Passeggiavano per il giardino: «Splendido giardino!» Ma quando sentivano il canto dell’usignolo, non dicevano niente, perché rimanevano ad ascoltare a bocca aperta.

Una sola persona non sapeva del canto dell’usignolo: l’imperatore!

L’imperatore era sempre chiuso nelle sue stanze, con consiglieri, ministri, dignitari a prendere decisioni importanti, a governare il suo impero… Non aveva tempo per andare a passeggiare nel giardino e non aveva mai sentito il canto dell’usignolo.

Un giorno arrivò a visitare il palazzo dell’imperatore un famoso poeta. Il poeta passeggiò per il palazzo: «Magnifico palazzo!» Passeggiò per il giardino: «Splendido giardino!»

Poi, sentì il canto dell’usignolo. Il poeta ascoltò il canto con gli occhi chiusi. Sentiva nel cuore il desiderio di essere buono, buonissimo… con tutti. L’usignolo terminò canto e chiuse il becco. Il poeta tornò subito nelle sue stanze e scrisse una poesia in lode dell’usignolo: 

“La Cina ha molte cose da ammirare, 

ma il canto dell’usignolo non si può eguagliare:

commuove le pietre 

e incanta le onde del mare.”

Prima di partire, il famoso poeta regalò la poesia all’imperatore.

Quando l’imperatore lesse la poesia, andò su tutte le furie:

«Nel mio giardino c’è un usignolo prodigioso e io non ne so nulla??» 

I consiglieri e i dignitari non sapevano cosa rispondere, perché anche loro erano sempre chiusi nelle stanze dell’imperatore, a prendere decisioni importanti, a consigliare l’imperatore… non avevano tempo per passeggiare nel giardino e non avevano mai sentito il canto dell’usignolo!

Un cavaliere, più coraggioso degli altri, si fece avanti, si inchinò all’imperatore e disse:

«Maestà, sono sicuro che questo poeta ha immaginato l’usignolo…» 

L’imperatore guardò furente il cavaliere:

«Come osi contraddire la mia maestà imperiale? Cavaliere, se non mi porti l’usignolo entro la mezzanotte sarai bandito per sempre dal mio impero!»

Il cavaliere si inchinò all’imperatore e uscì piano piano dalla sala del trono. Andò alle scuderie, prese il suo cavallo e si diresse verso il giardino.

Anche il cavaliere non aveva mai sentito il canto dell’usignolo: era sempre in viaggio nell’impero a portare i messaggi dell’imperatore, a combattere le guerre dell’imperatore… non aveva tempo per passeggiare nel giardino e non sapeva dove cercarlo, questo usignolo!

Il cavaliere camminò per il giardino, cavalcò per il giardino, per tutto il giorno, per tutta la sera… senza trovare l’usignolo!

Mancavano ormai solo due ore alla mezzanotte!

«Non riuscirò mai a trovare l’usignolo!» pensò il cavaliere.

Il cavaliere tornò verso il palazzo dell’imperatore, si sedette su una panchina, si prese il viso tra le mani… e pianse.

«Bel cavaliere…»

Il cavaliere si alzò di scatto. Davanti a lui c’era una giovane donna, una cameriera delle cucine imperiali.

«Bel cavaliere, io so perché piangete. Non disperate: conosco l’usignolo. Sento il suo canto ogni sera».

Il cavaliere si buttò in ginocchio davanti alla ragazza:

«Tu mi salvi la vita! Se mi porti da questo usignolo, io ti farò diventare la prima cuoca delle cucine imperiali!»

«Sta bene – disse la ragazza – venite con me».

La ragazza condusse il cavaliere lungo i sentieri del giardino, fino all’albero più alto del giardino dell’imperatore.

«Shht! – la ragazza si portò un dito alle labbra – Non fate rumore».

Indicò col dito la cima dell’albero: sul ramo più alto dell’albero più alto del giardino dell’imperatore, c’era un piccolo uccellino con le penne grigie. 

«Ma non è possibile!» esclamò il cavaliere. 

«Shht!» 

«Ma non è possibile! – disse il cavaliere – Un uccellino così piccolo non può essere l’usignolo!» 

«Ascoltate…»

L’usignolo aprì il becco e cantò.

Sul giardino, sul bosco e sul mare scese il silenzio. Tutti gli animali del bosco si fermarono per ascoltare, le onde del mare si fermarono per ascoltare e la luna scese nel cielo a illuminare l’usignolo. 

Il cavaliere ascoltò il canto con gli occhi chiusi. Sentiva nel cuore il desiderio di essere buono, buonissimo con tutti.

L’usignolo terminò il suo canto e chiuse il becco.

Il cavaliere aprì gli occhi. La ragazza gli sorrise e si rivolse all’usignolo:

«Amico usignolo, l’imperatore vorrebbe tanto sentire il tuo canto: vorresti venire con me a palazzo?»

L’usignolo piegò il capino da un lato:

«Volentieri!»

L’usignolo aprì le ali e seguì volando la ragazza e il cavaliere.

Quando arrivarono a palazzo, trovarono l’imperatore nella sala del trono. La sala era gremita di ministri, di consiglieri, di dame e di cavalieri. L’imperatore stava seduto sul suo trono, vestito dei suoi abiti più ricchi, con in testa la corona. Tutta la sala scintillava di specchi, di luci, di lampadari d’oro.

Il piccolo usignolo si sentiva ancora più piccolo, in mezzo a tutto quello splendore. L’imperatore indicò un trespolo accanto al suo trono. L’usignolo si posò sul trespolo. 

«Usignolo, canta per me» disse l’imperatore. 

L’usignolo aprì il becco, ma dal becco non uscì alcun suono. 

L’imperatore guardo furente il cavaliere:

«Sarebbe questo, l’usignolo??» 

«Sì… – disse l’usignolo – sono io… ma… io sono abituato a cantare nel bosco, al buio, con i miei amici…» 

L’imperatore ordinò di aprire le finestre e spegnere le luci! Dalle finestre aperte entrarono insetti, uccellini e scoiattoli e la luna scese nel cielo a illuminare l’usignolo.

L’usignolo aprì il becco e cantò. 

Nella sala del trono scese il silenzio. I dignitari, i ministri, le dame e i cavalieri ascoltavano con gli occhi chiusi, sentivano nel cuore il desiderio di essere buoni, buonissimi… con tutti.

L’imperatore ascoltava immobile sul suo trono e dai suoi occhi – tuc… tuc… – cadevano grosse lacrime.

L’usignolo terminò il canto e chiuse il becco. L’imperatore aprì gli occhi.

«Usignolo, io voglio che tu rimanga qui, a palazzo».

L’usignolo chinò il capino.

L’usignolo divenne il cantore ufficiale dell’impero. Stava su un trespolo d’oro accanto al trono dell’imperatore e ogni sera cantava per l’imperatore e la sua corte. Ma non era felice. Poteva uscire solo due volte al giorno e ogni volta che usciva, dodici dignitari lo seguivano tenendo un cordino legato alle sue zampe.

Un giorno, al palazzo dell’imperatore arrivarono degli ambasciatori dal Giappone, con un regalo dentro una scatola. I consiglieri presero la scatola e la portarono davanti all’imperatore.

Sopra la scatola c’era un bigliettino con scritto:

“L’usignolo del Giappone è più bravo dell’usignolo della Cina. Firmato: l’imperatore del Giappone”.

L’imperatore ordinò ai consiglieri di aprire la scatola.

Nella scatola c’era un usignolo meccanico, tutto d’oro e tempestato di pietre preziose.

I consiglieri caricarono la molla dell’usignolo meccanico. L’usignolo meccanico cantò una delle melodie dell’usignolo vivo, muovendo il capino e la coda. Finito il canto, l’usignolo fece un inchino meccanico e si fermò.

L’imperatore andò su tutte le furie:

«Come osa l’imperatore del Giappone insultare me e il mio usignolo? Dichiarerò guerra all’imperatore Giappone!»

I consiglieri fecero notare che in fondo era un bellissimo regalo e che non era il caso di dichiarare guerra per così poco…

L’imperatore fece scrivere una risposta all’imperatore del Giappone:

“Sua eccelsa maestà imperiale l’imperatore della Cina ringrazia per il regalo”.

E dietro il biglietto, a caratteri piccini piccini piccini:

“Però, l’usignolo della Cina è più bravo del vostro!”

Poi, l’imperatore ordinò di preparare un concerto:

«Faremo cantare insieme i due usignoli: dimostreremo che l’usignolo vivo è più bravo dell’usignolo meccanico». 

I consiglieri prepararono un concerto magnifico. La sala era gremita di ministri, di consiglieri, di dame e di cavalieri. L’imperatore era seduto sul suo trono, vestito dei suoi abiti più ricchi, con in testa la corona. La sala scintillava di specchi, di luci, di lampadari. Ai lati del trono stavano due trespoli: uno con l’usignolo vivo; uno con l’usignolo meccanico. 

«Canterà per primo l’usignolo meccanico» disse l’imperatore.

I consiglieri caricarono la molla dell’usignolo meccanico. L’usignolo meccanico cantò una delle melodie dell’usignolo vivo, muovendo il capo e la coda. Finita la canzone, fece un inchino meccanico e si fermò.

«Adesso, canterà l’usignolo vivo» disse l’imperatore.

Tutti si volsero verso il trespolo dell’usignolo vivo… ma il trespolo era vuoto. L’usignolo vivo era volato via dalla finestra aperta. 

L’imperatore andò su tutte le furie:

«L’usignolo vivo sarà bandito per sempre dal mio impero! D’ora in poi l’usignolo meccanico sarà il cantore ufficiale dell’impero.» 

L’usignolo meccanico divenne il cantore ufficiale dell’impero. Stava su un trespolo d’oro accanto al trono dell’imperatore e ogni sera cantava per l’imperatore e la sua corte.

Ma un brutto giorno, qualcosa dentro l’usignolo meccanico fece “crac!”. L’usignolo meccanico rimase col capino piegato da un lato, immobile. L’imperatore fece chiamare l’orologiaio imperiale. L’orologiaio, con i suoi strumenti, aprì l’usignolo meccanico:

«Maestà, il meccanismo è troppo rovinato: posso ripararlo, ma l’usignolo potrà cantare solo una volta all’anno». 

L’imperatore si rassegnò:

«L’usignolo meccanico canterà una volta all’anno, nel giorno del mio compleanno». 

L’usignolo meccanico da quel giorno cantò una volta all’anno, nel giorno del compleanno dell’imperatore.

Passarono gli anni e un giorno l’imperatore si ammalò. Si ammalò così gravemente che in poco tempo stava per morire. Allora, i dignitari, i consiglieri e tutto il popolo andarono al palazzo dall’imperatore, per vederlo un’ultima volta… ma l’imperatore non poteva vedere nessuno. Stava solo nella sua stanza, sdraiato nel letto, con accanto l’usignolo meccanico e respirava a fatica.

L’imperatore sentiva un gran peso sul petto. Nella sua mente passavano le immagini di tutte le azione che aveva fatto nella sua vita: le cose buone e le tante, tante cose cattive, le guerre, le condanne…

«Musica! Musica! – gridava l’imperatore – Musica! Non voglio vedere le cose brutte che ho fatto, non voglio sentire il male che ho fatto! Musica! Musica! Usignolo, ti ho riempito di regali. Canta! Canta!»

Ma l’usignolo era meccanico: non c’era nessuno che lo caricasse e da solo non poteva cantare. 

A un tratto, dalla finestra aperta entrò un canto melodioso. Era l’usignolo vivo: aveva saputo che l’imperatore era ammalato ed era corso a confortarlo. L’usignolo cantava e cantava… e il peso sul petto dell’imperatore diventava più leggero. L’usignolo cantava e cantava… e le immagini delle azioni cattive lasciavano libero l’imperatore. L’usignolo cantava e cantava… e all’imperatore tornavano le forze. L’usignolo terminò il canto e chiuse il becco: l’imperatore era guarito.

L’imperatore si alzò dal letto, si buttò in ginocchio davanti all’usignolo:

«Usignolo, mi hai salvato la vita. Cosa posso fare per ripagarti?» 

«Nulla – cinguettò l’usignolo –  la prima volta che ho cantato per te, tu hai pianto. A me basta questo. Io, invece, posso fare qualcos’altro per te. Tu non devi stare sempre chiuso nelle tue stanze: devi uscire, parlare con i tuoi sudditi, con la gente. Io posso aiutarti. Volando, io posso arrivare dove tu non puoi: posso posarmi sulle case dei ricchi e sulle case dei poveri. Se seguirai i miei consigli, potrai governare in modo giusto e non fare più tante azioni cattive. Però non dire a nessuno che ti racconta tutto un uccellino».

Così fu: da quel giorno, l’imperatore seguì i consigli dell’usignolo e il suo impero fu giusto e felice per molto e molto tempo.


☞ Questa storia è ispirata a una fiaba di Hans Christian Andersen.

Nota: questi non sono i testi originali delle storie, ma le versioni raccontate da Silvia nel podcast. Puoi condividerle, ma non copiarle e devi sempre citare la fonte e il sito. Il modo più semplice? Condividi il link della pagina!

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Il cane e l’agnello

Cosa ci fa un agnellino nel gregge delle capre?

Dove sarà la sua mamma? Silvia racconta al drago Scott una tenera favola che parla d’affetto, con protagonisti un agnellino, un cane e una capra dal cuore grande.

✨⬇️ ASCOLTA LE FAVOLE DI SILVIA E SCOTT!

Il cane e l’agnello

C’era una volta, un cane da pastore che in un grande prato faceva la guardia a due greggi: uno di capre e uno di pecore.

Le due greggi erano ben distinte: le capre brucavano l’erba in cima a una collina; le pecore ai piedi della collina, vicino a un ruscello.

Il cane correva avanti e indietro tra le due greggi, controllando che tutte le capre e tutte le pecore si comportassero bene e soprattutto che non si mescolassero tra di loro.

A un tratto, il cane vide un agnellino in mezzo alle capre.

Subito gli corse incontro:

«Uof! Cosa ci fai tu in mezzo alle capre? Tu sei una piccola pecora, la tua mamma non la trovi in mezzo alle capre: torna subito nel tuo gregge!»

Il cane si mise a spingere l’agnellino col muso, fuori dal gregge di capre e verso il gregge di pecore.

L’agnellino si dibatteva furiosamente:

«Bee! Lasciami! Bee! Non c’è la mia mamma là! Bee! Mamma! Mamma!»

A quel grido, una capra uscì correndo dal gregge di capre:

«Bee! piccolo, dove sei?»

«Mamma! Mamma!»

L’agnellino si divincolò dal cane, corse verso la capra e si nascose in mezzo alle sue zampe.

«Uof! Questa poi è bella – fece il cane – ehi tu, capra! Cosa succede qui? Quello è un piccolo di pecora! Perché ti chiama mamma?»

«Bee, vai a giocare piccolo, bee» disse la capra.

L’agnellino strofinò il muso sul pelo della capra e corse via saltellando.

La capra si rivolse al cane:

«Bee… Mi chiama mamma perché questo è il mio piccolo: l’ho trovato che stava tutto solo e nessuna delle pecore lo voleva. Bee. Allora l’ho preso con me e l’ho cresciuto insieme ai miei capretti.»

«Uof… hai fatto bene… – disse il cane – però una pecora dovrebbe stare in mezzo alle pecore.»

«E perché? Con me è felice, io gli dò il latte e non gli manca niente. Bee»

Il cane guardò l’agnellino: saltellava felice in mezzo alle capre.

Poi l’agnellino corse verso la capra, strofinò il muso sul suo pelo, guardò il cane:

«Bee! Hai capito che questa è la mia mamma?»

«Uof! Sì piccolo, l’ho capito. Resta pure con lei.»

Il cane si allontanò, mentre l’agnellino tornava a giocare contento, vicino alla sua mamma.

L’amore vince tutto.

Virgilio

☞ Questa storia è ispirata a una favola di Fedro.

Nota: questi non sono i testi originali delle storie, ma le versioni raccontate da Silvia nel podcast. Puoi condividerle, ma non copiarle e devi sempre citare la fonte e il sito. Il modo più semplice? Condividi il link della pagina!

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La volpe e la cicogna

La volpe è l’animale più furbo del bosco…

… ma la cicogna è più furba di lei! Questa divertente favola di La Fontaine ci ricorda di non fare dispetti, perché: chi la fa, l’aspetti!

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La volpe e la cicogna

La volpe è l’animale più furbo di tutto il bosco. Tutti lo sanno. Tutti gli animali, almeno una volta, sono stati presi in giro dalla volpe. Tutti hanno una gran paura di lei e dei suoi tranelli. 

Quando la volpe passa, tutti gli animali le fanno largo: «Buongiorno Madama Volpe! Che bel pelo Madama Volpe!»

Tutti, tranne la cicogna.

 La cicogna è furba (quasi) quanto la volpe: sta sempre in guardia e nessuno è mai riuscito a imbrogliarla… neanche la volpe!

La volpe non è mai riuscita a farle neanche uno scherzetto piccolo piccolo. Le ha provate tutte! Il sale al posto dello zucchero, il pepe al posto del caffè… niente! La volpe ne ha fatto una malattia: deve assolutamente riuscire a fare uno scherzo alla cicogna. Pensa che ti ripensa, alla volpe viene un’idea. Scrive un bel bigliettino:

“Carissima cicogna, vorresti venire a pranzo da me domani? Firmato: la volpe”.

La volpe spedisce il bigliettino alla cicogna. La cicogna riceve il bigliettino, lo legge: «Un invito a pranzo a casa della volpe! Sicuramente vuole giocarmi qualche brutto tiro.  Però in fondo è un invito a pranzo… cosa potrebbe succedere di male? Accetterò».

 Il giorno dopo, la cicogna si mette il suo cappellino più bello, con un gran nastro e va a casa della volpe. La volpe ha preparato tutto con cura: la tavola sotto il pergolato, con una bella tovaglia rosa, i piatti, i bicchieri, il cestino del pane, un bel cestino di fiori… e dalla cucina arriva un profumo delizioso!

 La volpe dà il benvenuto alla cicogna, la fa accomodare a tavola:

«Cara, mettiti comoda, vado a prendere il pranzo».

E la volpe scompare dentro la cucina. La cicogna ha già l’acquolina in bocca!

La volpe torna dalla cucina portando una grande pentola fumante: «Cara, ho preparato la mia specialità: brodo!»

La volpe prende un mestolo e serve una cucchiaiata di brodo nel piatto della cicogna. La cicogna guarda il suo piatto… un piatto piattissimo! Con appena un ditino di brodo in fondo.

La cicogna appoggia la punta del suo lungo becco nel piatto e cerca di bere il brodo, ma… il piatto è troppo piatto e non riesce a tirar su neanche una goccia di brodo!

La volpe invece, prende il piatto con due zampe e lap lap! con due lappate spazzola via tutto il brodo. «Mmmm, delizioso!» 

La cicogna cerca disperatamente di bere il brodo, ma è tutto inutile: non riesce a magiare neanche una goccia!

«Non ti piace, cara?» chiede la volpe, ridendo sotto i baffi.

«Cara… purtroppo non ho molta fame.» 

«Non preoccuparti carissima, mangio io la tua parte!» 

La volpe prende il piatto della cicogna e lap! lap! in due lappate si pappa tutto il brodo.

La cicogna… che rabbia! E che fame! La volpe è riuscita a imbrogliarla! La cicogna torna a casa tutta avvilita e arrabbiata. Quella volpe! Deve assolutamente riuscire a fargliela pagare! Pensa e ripensa, alla cicogna viene un’idea. Scrive un bel bigliettino alla volpe:

“Carissima volpe, vorresti venire domani a pranzo da me? Firmato: la cicogna”.

E spedisce il bigliettino alla volpe. La volpe riceve il bigliettino, lo legge… e se la ride sotto i baffi: «Quella cicogna! Ha capito che sono troppo furba per lei! Accetto senz’altro l’invito.»

Il giorno dopo, la volpe si mette il suo più bel cappellino e va a casa della cicogna.

Anche la cicogna ha preparato tutto con cura: la tavola sotto il pergolato, con una bella tovaglia azzurra, un bel cestino di fiori, il cestino del pane… e dalla cucina arriva un profumo delizioso!

La cicogna dà il benvenuto alla volpe, la fa accomodare a tavola. «Carissima, mettiti comoda, vado subito a prendere il pranzo». La cicogna scompare dentro la cucina. La volpe ha già l’acquolina in bocca!

La cicogna torna dalla cucina portando due grandi vasi con un collo strettissimo e una pancia in fondo: «Carissima, ecco qui la mia specialità: sono dei bocconcini ripieni… in vasi panciuti!».

La volpe guarda il suo vaso: in fondo al vaso ci sono tanti bocconcini, che mandano un profumo squisito! La volpe cerca di infilare il muso dentro lo strettissimo collo del vaso… ma il suo muso è troppo largo! Non riesce ad arrivare in fondo al vaso e non riesce a magiare nessun bocconcino!

La cicogna invece infila il suo lunghissimo becco dentro lo stretto collo del vaso e con la punta del becco – gnam gnam gnam – in un batter d’occhio si mangia tutti i bocconcini. La volpe tenta disperatamente di infilare il muso nel vaso… ma non c’è niente da fare: il suo muso è troppo largo e non arriva ai bocconcini sul fondo.

«Cara, non ti piace?» chiede la cicogna, che se la ride. 

«Cara, purtroppo non ho molta fame.» 

«Cara, non preoccuparti: mangio io la tua parte!» 

La cicogna prende il vaso della volpe, infila il becco nel vaso e – gnam gnam gnam – in un batter d’occhio si pappa tutti i bocconcini!

La volpe… che rabbia! Che fame! E che vergogna! La cicogna è riuscita a imbrogliarla! La volpe torna a casa rossa per la vergogna: ancora più rossa del suo pelo rosso.

Dice il proverbio: chi la fa, l’aspetti!

La Fontaine

☞ Questa storia è ispirata a una favola di Jean De La Fontaine.

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Il terribile guerriero

Un piccolo bruco occupa la tana di una lepre… e fa finta di essere un terribile guerriero!

Tutti gli animali più forti provano a mandarlo via! Ma come dice il drago Scott: a volte gli animali più piccoli sono quelli più coraggiosi. Chi riuscirà ad aiutare la lepre?

✨⬇️ ASCOLTA LE FAVOLE DI SILVIA E SCOTT!

Il terribile guerriero

Africa. In Africa, una grande foresta. In mezzo alla foresta, un cespuglio. Sotto al cespuglio, una lepre raggomitolata nella sua tana. Una mattina, appena spuntato il sole, la lepre uscì dalla sua tana. Sbadigliò. Si stiracchiò…

«Che bella mattina! Andrò a fare colazione vicino al fiume.» 

Hoppiti – hoppiti- hoppiti – hop! 

La lepre si allontanò saltellando dalla sua tana.

Un bruco – striscia – striscia – striscia – passò vicino alla tana della lepre.

«Oh, che bella casina!» 

Il bruco si avvicinò alla tana della lepre e mise dentro la testa. 

«Ehilààà! C’è qualcuno? Oh, che bella casina…vuota!» 

Il bruco – striscia – striscia – striscia – strisciò dentro la tana della lepre, arrivò in fondo e si raggomitolò nell’angolino più buio. 

«Oh che bella casina… comoda!» 

Il bruco si addormentò nella tana della lepre. 

Dopo qualche ora, la lepre tornò saltellando verso casa.

Hoppiti – hoppiti- hoppiti – hop!

«Che bella mangiata che ho fatto! Non vedo l’ora di fare un pisolino nella mia tana.»

Hoppiti – hoppiti- hoppiti – ho…

Davanti alla tana della lepre, c’era una striscia nel terreno, che si infilava proprio dentro la tana. 

«Oh… chi può essere entrato nella mia tana?»

La lepre si avvicinò alla sua tana e mise dentro la testa: 

«Ehilààà… c’è qualcuno nella mia tana?» 

Il bruco, raggomitolato sul fondo:

“Umpf… questa casina è così comoda, non ho voglia di andarmene!” pensò.

Il bruco gonfiò il petto e fece la voce grossa:

«Ci sono io nella tana!»

La lepre tremò tutta per la paura:

«Oh… ma ci ho messo tanto a scavarla… non potresti uscire?» 

«Vieni a prendermi se hai coraggio!» gridò il bruco.

«Oh, ma… ma chi sei tu che occupi così la mia tana?»

Il bruco gridò più forte che poteva:

«Io sono un terribile guerriero!» 

La lepre tirò la testa fuori dalla tana, spaventatissima! 

«Oh… cosa può fare un animaletto piccolo come me contro un terribile guerriero?» 

La lepre si allontanò sconsolata dalla sua tana. 

hoppiti… hoppiti… hoppiti… hop… 

Lungo la strada, la lepre incontrò uno sciacallo. 

«Auuh! Ehilà, amica lepre! Perché quella faccia lunga? Auh!»

«Oh… sapessi, amico sciacallo… la mia tana è stata occupata da un terribile guerriero! Potresti aiutarmi a scacciarlo?»

«Auuh! Ma certo, amica lepre! Adesso ci penso io! Auh!» 

«Oh… grazie mille!»

Hoppiti – hoppiti- hoppiti – hop!

Auh – auh – auh – auh! 

Lo sciacallo e la lepre andarono verso la casa della lepre. Appena arrivati, lo sciacallo mise la testa nella tana.  

«Auuh! Ehilàà! Chi sei tu che occupi la casa della mia amica lepre? Vieni subito fuori, o avrai a che fare con me! Auh!»

Il bruco gonfiò il petto e fece la voce grossa:

«Ci sono io in questa casa! Sono un terribile guerriero, figlio del capo guerriero del paese che non esiste!»

«Auuh…»

Lo sciacallo tirò la testa fuori dalla tana della lepre.

«Auuh… ehm… amica lepre… questo è un terribile guerriero… io… auuh… cosa ci posso fare? Mi dispiace, ma io… non posso battermi con un guerriero così. Ti saluto, amica. Auh!»

Auh – auh – auh – auh…

Lo sciacallo si allontanò. La lepre… – hoppiti… hoppiti… hoppiti… hop… – si allontanò sconsolata dalla sua tana.  

Lungo la strada, la lepre incontrò il leone. 

«Roarr! Ehilà, amica lepre! Perché quella faccia triste? Roarr!»

«Oh… leone, sapessi… un terribile guerriero ha occupato la mia tana. Potresti aiutarmi a scacciarlo?»

«Roarr! Certo, amica lepre! Sono o non sono il re della foresta? Andiamo! Roarr!»

«Oh… grazie, leone!»

Hoppiti – hoppiti- hoppiti – hop!

Roarr – roarr – roarr – roarr!

Il leone e la lepre si avviarono verso la tana della lepre. 

Appena arrivati, il leone mise la testa dentro la tana.  

«Roarr! Chi è che occupa la tana della mia amica lepre? Vieni subito fuori, o avrai a che fare con me! Roarr!»

Il bruco gonfiò il petto e fece la voce grossa:

«Io sono un terribile guerriero, figlio del capo guerriero del paese che non esiste! Io schiaccio il rinoceronte e ballo sul corpo dell’elefante! Vattene subito, o assaggerai la mia ira!»

«Roarr…»

Il leone tirò la testa fuori dalla tana.

«Roarr… amica lepre… io non posso battermi con questo guerriero. Ti saluto, amica. Roarr!»

Roarr – roarr – roarr – roarr…

Il leone si allontanò. 

La lepre… – hoppiti… hoppiti… hoppiti… hop… – si allontanò sconsolata dalla sua tana. 

Lungo la strada, la lepre incontrò il rinoceronte. 

«Umpf! Ehi amica lepre! Come ti va? Umpf!»

«Oh… amico rinoceronte, sapessi… un terribile guerriero ha occupato la mia tana. Potresti aiutarmi a scacciarlo?»

«Umpf! Certo, amica lepre! Stamattina mi sono svegliato proprio arrabbiato. Umpf! Prendo volentieri a cornate qualcosa. Andiamo! Umpf!»

«Oh… grazie, rinoceronte!»

La lepre e il rinoceronte si avviarono verso la tana della lepre. 

Hoppiti – hoppiti- hoppiti – hop!

Umpf – umpf – umpf – umpf!

Appena arrivati, il rinoceronte mise la testa dentro la tana della lepre.  

«Umpf! Chi sei tu che occupi la tana della mia amica lepre? Esci subito o ti prendo a cornate! Umpf!»

Il bruco gonfiò il petto e fece la voce grossa:

«Io sono un terribile guerriero, figlio del capo guerriero del paese che non esiste! Io schiaccio il rinoceronte e ballo sul corpo dell’elefante!»

«Umpf…»

Il rinoceronte tirò la testa fuori dalla tana.

«Umpf… amica lepre… io non ho intenzione di farmi schiacciare da questo guerriero. Ti saluto, amica. Umpf!»

Umpf – umpf – umpf – umpf.

Il rinoceronte si allontanò.

La lepre… 

«Oh… se il rinoceronte non ha affrontato il guerriero… forse lo farà l’elefante!»

Hoppiti – hoppiti- hoppiti – hop!

La lepre andò a cercare l’elefante. Lo trovò in mezzo a una bella radura, intento a fare colazione con dell’erba.

«Amico elefante!»

«Ehilà, amica lepre… perché quella faccia scura?»

«Oh… sapessi, amico elefante! Un terribile guerriero ha occupato la mia tana. Dice che lui schiaccia il rinoceronte e balla sul corpo dell’elefante. Potresti aiutarmi a scacciarlo?»

«Mia cara lepre, non mi piace che qualcuno balli sul mio corpo… ti saluto, amica.»

L’elefante si allontanò.

La lepre… – hoppiti… hoppiti… hoppiti… hop… – se ne tornò sconsolata verso la tana.  

Lungo la strada, la lepre incontrò un ranocchio.

«Croack! Ehilà, amica lepre! Come ti va? Croack!»

«Oh… sapessi, amico ranocchio… nella mia tana c’è qualcuno che dice di essere un terribile guerriero… ha vinto tutti gli animali della foresta e nessuno è riuscito a scacciarlo!» 

«Croack! Interessante… e chi sarebbe questo guerriero che ha vinto tutti gli animali? Croack!»

«Lui dice di essere un terribile guerriero, figlio del capo guerriero del paese che non esiste.»

«Croack! Interessante… vorrei provare a parlarci anch’io. Croack!»

«Oh… amico ranocchio… ti ringrazio, ma… io non credo che tu possa fare qualcosa.»

«Croack! Fidati di me, amica lepre. Andiamo! Croack!»

Hoppiti… hoppiti… hoppiti… hop…

Croack – croack – croack – croack!

Il ranocchio e la lepre si avviarono verso la tana.

Appena arrivati, il ranocchio mise la testa nella tana della lepre.  

«Croack! Ehilà! Chi c’è nella tana della mia amica lepre?  Croack!»

Il bruco gonfiò il petto e fece la voce grossa:

«Ci sono io nella tana! Sono un terribile guerriero, figlio del capo guerriero del paese che non esiste! Io schiaccio il rinoceronte e ballo sul corpo dell’elefante!»

«Croack! – fece il ranocchio – Finalmente un avversario degno di me. Croack!»

Il ranocchio con due balzi entrò nella tana della lepre, si diresse verso il fondo e si trovò davanti il bruco. 

«Croack! Saresti tu il terribile guerriero?! Croack!»

Il ranocchio balzò verso il bruco con la bocca aperta.

Il bruco si raggomitolò terrorizzato: «Calmati ranocchio! Sono soltanto un bruco!»

Il ranocchio acciuffò il bruco, lo sollevò da terra e – croack! croack! – con due balzi fu fuori dalla tana. 

Il ranocchio depose il bruco ai piedi della lepre. 

«Ehilà, signora lepre» fece il bruco.

«Oh… e sarebbe questo il terribile guerriero?!»

«Sì – fece il bruco – sono io. Certo che è proprio comoda la tua casa!»

La lepre…! «Brutto bruco cattivo! Adesso ti schiaccio!»

«Croack! Calmati lepre! Croack! In fondo, non è successo niente. E poi pensa a tutti gli animali più grandi di te che si sono fatti imbrogliare dal bruco!»

La lepre al pensiero di come il bruco avesse ingannato lo sciacallo, l’elefante, il rinoceronte, il leone… si mise a ridere, a ridere! Anche il bruco si mise a ridere e anche il ranocchio.

E tutta la foresta rise di questa storia per molto e molto tempo.


☞ Questa storia è ispirata a una fiaba popolare Masai.

Nota: questi non sono i testi originali delle storie, ma le versioni raccontate da Silvia nel podcast. Puoi condividerle, ma non copiarle e devi sempre citare la fonte e il sito. Il modo più semplice? Condividi il link della pagina!

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Fiabe

L’acciarino magico

Un soldato trova un acciarino con dei poteri magici…

Che cos’è un acciarino? Ascolta la storia e lo scoprirai!

Al draghetto Scott questa fiaba di Andersen piace molto: ci sono tre cani molto simpatici!

✨⬇️ ASCOLTA LE FAVOLE DI SILVIA E SCOTT!

L’acciarino magico

C’era una volta, un soldato che tornava dalla guerra. Uno, due! Uno, due! Uno, due! Il soldato camminava marciando su una grande strada in mezzo alla campagna. Uno, due! Uno, due! Uno, due! Aveva una bella giacca rossa, dei grandi stivali, la spada al fianco e un grosso sacco sulle spalle. Uno, due! Uno, due! Uno, due! Faceva caldo e il soldato era molto stanco: la sua giacca era piena di polvere e i suoi stivali pieni di buchi. Uno, due. Uno, due. Uno, due.

Vicino alla strada c’era un grande albero, con una bella chioma. “Mi fermerò un po’ a riposare” , pensò il soldato. Si avvicinò all’albero, ma non fece in tempo a sedersi che PUFF!

Dall’albero, uscì una grande nuvola di fumo grigio e in mezzo al fumo comparve una strega.

Una strega vecchissima, con i capelli grigi e arruffati, la bocca larga e un grandissimo naso:

“Salve, soldato!”

“Salve a voi, signora strega…”

“Che bella giacca rossa che hai soldato, e che begli stivali.”

“Grazie, signora strega…”

“Ma la tua giacca è tutta piena di polvere e i tuoi stivali sono pieni di buchi. Devi essere molto stanco e molto povero!”

“Hai ragione, vecchia strega – ammise il soldato – ho combattuto tanto, mi hanno pagato poco e questo sacco e questa spada sono tutto quello che mi rimane.”

“È il tuo giorno fortunato! – sorrise la strega – Io posso renderti molto ricco. Devi soltanto fare… una cosa per me.”

“Che genere di cosa?” chiese il soldato.

“Vedi questo buco vicino all’albero?”

La strega indicò un gran buco che si apriva proprio ai piedi dell’albero.

“Ho lasciato una cosa laggiù in questo buco: un acciarino!

Io voglio che tu ti cali nel buco. Ti legherò con una corda e tu ti calerai giù. Quando sarai in fondo, ti troverai in un corridoio con tre porte: una di rame, una d’argento e una d’oro. Ogni porta conduce a una stanza, in ogni stanza c’è una cane seduto su una cassa piena di denaro. Tu non aver paura: prendi il cane, mettilo sul grembiule che adesso ti darò e prendi tutto il denaro che vuoi. Quello che prenderai sarà la tua ricompensa. In cambio, voglio solo che mi riporti l’acciarino che ho lasciato laggiù. Affare fatto?”

Il soldato ci pensò un po’ su: quei soldi gli avrebbero fatto molto comodo.

“E va bene vecchia strega. Farò come dici.”

“Molto bene!”

La strega prese una grande corda, legò il soldato, gli mise in mano un grembiule e PUF! Lo spinse giù, nel buco vicino all’albero.

Il soldato si ritrovò in fondo. Si rialzò, si guardò attorno…

Era in un corridoio lungo e stretto, su cui si aprivano tre porte: una di rame, una d’argento, e una d’oro. 

Il soldato spinse la prima porta… e si ritrovò in una grande stanza. In mezzo alla stanza, c’era un grosso cane, con gli occhi grandi come due tazze! E stava seduto su una grande cassa. Il soldato si avvicinò al cane… lo prese in braccio, lo mise sul grembiule della strega… il cane subito si addormentò. Allora il soldato aprì la cassa. Era piena di monete di rame!! Il soldato si riempì le tasche con le monete! Richiuse la cassa, rimise il cane al suo posto e tornò nel corridoio. Spinse la porta d’argento… Mamma mia! In mezzo alla stanza, c’era un cane con gli occhi grandi come le ruote di un mulino! Il soldato si avvicinò al cane…. lo prese, lo mise sul grembiule della strega… il cane subito si addormentò. Allora il soldato aprì la cassa. Era piena di monete d’argento!! Il soldato si svuotò le tasche dalle monete di rame e le riempì di monete d’argento! Riempì anche il sacco di monete d’argento! Poi richiuse la cassa, rimise il cane al suo posto e tornò nel corridoio. Spinse la porta d’oro… Mamma mia! Fece un balzo indietro!

Nella stanza c’era un cane con gli occhi grandi come due torri!

Il soldato… fece il saluto militare, perché in vita sua non aveva mai visto un cane così! Poi si avvicinò al cane, lo prese, lo mise sul grembiule della strega… il cane subito si addormentò. Allora il soldato aprì la cassa. Mamma mia! La cassa era piena d’oro! Piena di monete d’oro! Era ricco! Ricchisssimo! Il soldato si svuotò le tasche dalle monete d’argento, svuotò il sacco dalle monete d’argento e riempì tutto quello che poteva di monete d’oro! Riempì le tasche, riempì il sacco, riempì gli stivali, riempì il cappello, si riempì anche i calzini di monete d’oro! Poi richiuse la cassa, rimise il cane al suo posto e tornò nel corridoio.

“Tirami su, vecchia strega!” gridò.

“Hai preso l’acciarino??” chiese la strega.

“Mannaggia l’acciarino me l’ero dimenticato…”

Il soldato tornò indietro a cercare l’acciarino. Cerca di qua, cerca di là, cerca di qua, cerca di là… alla fine lo trovò.

Era un piccolo acciarino, con una pietra e un mozzicone di candela, infilato dentro a un sacchettino di velluto rosso.

Il soldato prese il sacchetto, lo mise in tasca e tornò verso il buco.

“Tirami su, vecchia strega!”

“Hai preso l’acciarino?”

“Sì, sì ce l’ho in tasca. Tirami su, adesso.”

La strega tirò su il soldato con la corda.

“Quanto oro che ti sei preso, pesi quanto un bisonte!”

Quando il soldato fu uscito dall’albero, la strega tese la mano.

“Dammi l’acciarino!”

Il soldato mise la mano in tasca, prese l’acciarino per darlo alla strega… ma si fermò.

“Cosa ci devi fare con questo acciarino?”

“Questo… non ti riguarda. È mio, dammelo.”

“Perché vuoi solo questo acciarino quando di sotto ci sono stanze piene d’oro e d’argento? Deve avere qualche potere speciale questo acciarino.”

“Nooo… un comunissimo acciarino… nessun potere speciale…”

“Non ti credo, vecchia strega. Secondo me questo acciarino è magico e se te lo ridò, mi trasformerai in un rospo!”

“Ma che rospi e rospi. Insomma l’acciarino è mio, adesso dammelo.”

“No vecchia strega, non ti do l’acciarino se prima non mi dici a cosa ti serve!”

“Hiii e va bene, tienilo pure se ti piace tanto!”

E PUFF! La strega scomparve! 

Il soldato rimase lì impietrito, con l’acciarino in una mano e il sacco pieno d’oro nell’altra.

“Certo che le streghe son proprio strane, eh?” disse tra sé.

Il soldato rimise in tasca l’acciarino, prese tutto l’oro che aveva negli stivali, nel cappello, nel sacco e lo versò tutto nel grembiule che la strega gli aveva lasciato. Ci fece un bel nodo e se lo caricò in spalla. Poi, si avviò verso la città.

“Purché tutto quest’oro non sparisca come ha fatto la strega! – pensava – Potrò comprarmi tutto quello che desidero adesso!”

Era ricco! Ricco come non lo era mai stato. Arrivato in città, andò subito all’albergo migliore e chiese la camera più bella, quella più grande, con la vista più bella, con il letto più comodo. Era ricco! Poi uscì subito a fare spese.

Comprò un bellissimo abito, una spada nuova, dei nuovi stivali, un grande cappello con una lunga piuma… era ricco!

Finalmente poteva vestirsi come un gran signore, e andare in giro in carrozza, e partecipare a cene eleganti e a pranzi lussuosissimi! Il soldato con tutti quei soldi cominciò ad attirare tantissima gente, che voleva conoscerlo, che voleva pranzare con lui, che voleva andare con lui in carrozza, e a teatro, e ai balli! Il soldato si ritrovò ricchissimo, famosissimo e pieno di amici. Tutti gli parlavano delle cose che si potevano fare in città: andare al teatro, ai balli, alle cene… E gli parlarono anche del re e della principessa sua figlia, che era uno splendore! Ma che suo padre teneva rinchiusa in un castello con mura di rame e torri altissime.

“E perché mai la tengono chiusa in quel castello, se è tanto bella come voi dite? Non si potrebbe vederla?”

“Ma mio caro – gli spiegò uno dei suoi amici – Vede, quando la principessa era piccola, a suo padre fu predetto che la principessa si sarebbe sposata con un semplice soldato. Pensi un po’ lei, un soldato!”

“Interessante…” fece il soldato.

Ma non aggiunse altro, per precauzione.

Il tempo intanto passava. Il soldato faceva la bella vita: andava ai balli, andava alle cene, andava a teatro, girava in carrozza… e siccome si ricordava bene di quanto era stato povero prima di incontrare la strega, dava anche molto denaro in beneficienza. E poi c’erano i regali da fare agli amici, che erano sempre intorno a lui a vezzeggiarlo, ad adularlo… ma che bel vestito, ma che bella spada, ma che bello di qui, ma che bello di là, spendi di qui, spendi di là, spendi di qui, spendi di là…

un giorno, il soldato si ritrovò senza un soldo.

Dovette allora lasciare la sua bella camera d’albergo e trasferirsi in una piccola stamberga, in un piccolo appartamento sotto i tetti. A poco a poco, i suoi begli abiti divennero lisi e consumati e i suoi stivali così belli si riempirono di nuovo di buchi.

Così combinato, con gli abiti consumati e gli stivali pieni di buchi, nessuno lo invitava più alle feste, né alle cene, né ai balli, né a teatro e nessuno dei suoi amici veniva più a trovarlo.

“Sa com’è, caro amico, ci sono così tante scale per arrivare in cima da voi.”

Il soldato passava le giornate solo soletto nella sua stanzetta sotto i tetti. Una sera si ritrovò a non avere più neanche una candela da accendere per farsi luce e non avere neppure i soldi per andare a comprarne di nuove. Si ricordò, allora, che nell’acciarino che aveva trovato nell’albero, c’era un mozzicone di candela. Frugò tra le sue cose, trovò il sacchetto di velluto rosso, l’aprì ed estrasse l’acciarino, la pietra e un mozzicone di candela. Batté una volta sull’acciarino per accendere la candela [ttzz!].

Ma appena le scintille sprizzarono dalla pietruzza, la porta si spalancò ed entrò il cane con gli occhi grandi come tazze.

“Buonasera – wof – padrone – wof”

Il soldato rimase di sasso. Un cane che parla?

“Wof – certo – wof – padrone – wof – sono un cane magico. wof – mi hai chiamato battendo l’acciarino ed eccomi qui – wof – cosa comandi, padrone?”

“Ahh, adesso capisco a cosa serviva l’acciarino della strega! – disse il soldato – Dì un po’, quindi basta che io batta sull’acciarino una volta per farti arrivare di filato dovunque io mi trovi?”

“wof – certo padrone – wof. Puoi chiamare anche gli altri se vuoi! wof”

“Interessante… dimmi un po’, cane, potresti portarmi dei soldi?”

“wof – certo – wof – padrone – wof – vado subito”

Il cane uscì di corsa e tornò dopo pochi minuti con in bocca un sacco pieno di monete d’oro.

“wof – fatto, padrone! – wof”

Il cane depose il sacco ai piedi del soldato e corse via. Il soldato era di nuovo ricco! Con i soldi portati dal cane, poté subito ritrasferirsi nella sua bella camera d’albero e comprare dei nuovi vestiti, e dei nuovi stivali, e un nuovo cappello e una nuova spada. Era di nuovo un signore fatto e finito. E subito, gli amici tornarono a invitarlo alle feste, ai balli, ai pranzi, alle cene e a vezzeggiarlo come se niente fosse successo.

Ogni volta che il soldato aveva bisogno di soldi, bastava che battesse sull’acciarino una volta [ttzz!] ed ecco compariva il cane con gli occhi grandi come tazze.

“Portami dei soldi!” ordinava il soldato.

Subito, il cane correva via e tornava dopo pochi minuti con in bocca un sacco pieno di monete d’oro.

Se invece il soldato batteva due volte sull’acciarino [tzz,tzz] era il cane con gli occhi grandi come ruote a comparire. E se batteva tre volte sull’acciarino [tzz,tzz, tzz] arrivava di corsa il cane con gli occhi grandi come torri.

Per la verità, il soldato chiamava più che altro il cane con gli occhi grandi come tazze, perché gli altri due gli mettevano un pochino paura.

Il tempo passava e il soldato continuava a fare la bella vita: andava a teatro, andava ai concerti, ai balli, alle cene, sempre circondato di amici. Ma, anche se i suoi amici si comportavano come se niente fosse successo, il soldato non era più lo stesso di prima. Aveva capito che tutte le persone che lo circondavano, gli stavano vicino solo per via dei suoi soldi e che da un momento all’altro, se la magia fosse finita, avrebbe potuto trovarsi di nuovo solo. A poco a poco, il soldato divenne molto malinconico.

Una sera, mentre stava nella sua camera a guardare fuori dalla finestra, vide in lontananza un bagliore.

Era la luna piena che si rifletteva sui tetti e sulle torri di un grande palazzo di rame: il palazzo dove era rinchiusa la principessa.

“Anche lei deve sentirsi molto sola là dentro – pensò il soldato – Però… forse avrei io il modo per farla uscire!”

Prese l’acciarino, batté una volta [tzz] e subito comparve il cane con gli occhi grandi come tazze.

“wof – buonasera – wof – padrone – wof – cosa comandi – wof”

“Vorrei vedere la principessa – disse il soldato – anche per un momento solo… so che è nascosta in un palazzo i rame, ma…”

“ wof – va bene – wof – padrone – wof vado – wof – e torno – wof”

Il cane corse via come un fulmine e dopo pochi minuti, eccolo di ritorno. Sulla sua groppa c’era la principessa. Era bellissima. Lunghi capelli neri, occhi verde smeraldo, ma occhi tristi, molto tristi. Il soldato rimase incantato a guardarla. Anche la principessa lo guardò… e vedendo quel soldato che la fissava a bocca aperta con l’acciarino in mano, la principessa rise. Il soldato fece per dire qualcosa, ma aveva chiesto di vedere la principessa per un momento solo. Per cui, il cane:

“wof – fatto, padrone! – wof”

e corse via, con ancora la principessa sulla groppa. Il soldato rimase solo nella sua camera, con l’acciarino in mano e la bocca aperta.

La mattina dopo, a colazione, la principessa raccontò al re suo padre e alla regina sua madre di aver fatto uno stranissimo sogno.

“Ho sognato che un cane entrava nella mia stanza, mi prendeva sulla sua groppa e mi portava nella camera di un soldato. Non ho fatto neppure in tempo a chiedere dove mi trovavo, che il cane mi ha subito riportata indietro e mi sono svegliata nel mio letto.”

Il re e la regina si guardarono, preoccupatissimi.

“Sarà stato senz’altro un sogno mia cara – disse la regina – non mi sembra una cosa di cui preoccuparsi.”

Ma non appena la principessa fu uscita dalla stanza, il re e la regina si consultarono, preoccupatissimi!

“Un soldato mio caro, sai che la profezia parlava proprio di un soldato” diceva la regina.

“Ne sono ben consapevole mia cara – disse il re – farò così: metterò una dama di corte a guardia della principessa. Starà con lei giorno e notte e se questo cane si ripresenterà, stai tranquilla che scopriremo dove la porta.”

Così fu fatto: quella sera, la principessa andò a dormire nella sua camera, mentre una dama d’onore vegliava accanto al suo letto.

Quella sera stessa, il soldato batté di nuovo l’acciarino [ttzz]. Subito comparve il cane con gli occhi grandi come tazze.

“wof – buonasera – wof – padrone – wof – cosa comandi? – wof”

“Voglio rivedere la principessa – disse il soldato – e questa volta, voglio anche poterci parlare.”

“wof – subito – wof – padrone – wof.”

Il cane corse via, arrivò al palazzo della principessa, entrò nella sua camera, la prese in groppa e via come il lampo. Ma la dama di corte aveva visto tutto. Si infilò svelta svelta un paio di scarpe comode e via di corsa dietro al cane! Il cane attraversò tutta la città con la principessa in groppa, e la dama di corte dietro! Il cane arrivò davanti alla porta dell’albergo del soldato ed entrò. La dama di corte si fermò davanti alla porta.

“Così, è qui che quel cane porta la principessa.”

Prese dalla tasca un pezzo di gesso e fece una grande x sopra la porta.

“Così, domani, potrò mostrarla al re”

Poi, se ne tornò al castello.

Frattanto il cane aveva salito le scale ed era entrato nella camera del soldato. Il soldato vedendo la principessa rimase di nuovo con la bocca aperta. Di nuovo, la principessa rise. Il soldato si riscosse:

“Buonasera principessa… io sono un umile soldato, ma desideravo tanto conoscervi e ho chiesto al mio cane di portarvi qui, solo per potervi parlare…”

La principessa sorrise:

“Vi ringrazio… non ero mai uscita dal palazzo.”

Il soldato stava per aggiungere qualche altra cosa, ma aveva solo chiesto di poter parlare alla principessa, non di farci una lunga conversazione. Per cui, il cane:

“wof – fatto, padrone! – wof”

e corse via, con ancora la principessa sulla groppa.

Il soldato rimase di nuovo solo nella sua camera, con l’acciarino in mano e la bocca aperta.

Il cane scese le scale, fece per uscire dall’albergo… ma vide una grande x sopra la porta e si fermò di botto.

“rrrr wof! Qui qualcuno vuole incastrare il mio padrone – wof – farò delle x sopra tutte le altre porte, così nessuno potrà riconoscere quella del mio padrone – wof”

Il cane riportò di corsa la principessa al suo palazzo, si procurò un pezzo di gesso e tenendo il gesso fra i denti fece delle grandi x sopra tutte le porte della città. 

La mattina dopo, la dama d’onore accompagnò il re, la regina e tutta la guardia reale fino a una porta segnata con una grande x.

“Ecco, mio signore, è questa la porta del soldato”

“Ma non è possibile! – esclamò il re – qui c’è un’altra porta segnata con una x”

“Caro, no ti sbagli anche tu! – disse la regina – Qui c’è un’altra porta con una x!”

“Ehm, sire – fece il capitano delle guardie – Qui veramente c’è un’altra x.”

Tutte le porte della città erano segnate con una x.

La povera dama d’onore non era più in grado di riconoscere quale fosse la porta del soldato. Così il re, la regina e tutta la guardia reale se ne tornarono al castello. Ma la regina era una donna intelligente:

“Adesso, ci penso io.”

Prese un paio di forbici, ago, filo e un pezzo di stoffa. Cucì un grazioso sacchettino, lo riempì di farina finissima e ci fece un buco. Poi attaccò il sacchetto alla camicia da notte della principessa, in modo che non si vedesse.

“Quando mia figlia uscirà, la farina si spargerà sulla strada. Così domani mattina scopriremo in quale porta è entrata.” 

Quella notte, il soldato di nuovo batté l’acciarino [tzz] e di nuovo chiese al cane di poter vedere la principessa.

“E questa volta, vorrei poterci parlare anche per tutta la notte!”

“wof – certo, padrone – wof”

Il cane di nuovo corse al palazzo, prese la principessa sulla groppa e la portò nella camera del soldato.

La farina si sparse lungo tutta la strada, dal palazzo fino alla porta del soldato… e il cane non si accorse di nulla.

Il soldato e la principessa parlarono, parlarono, parlarono, parlarono e parlarono fin quasi all’alba. Quando il sole stava per spuntare, i due si salutarono e il cane riportò la principessa al suo palazzo. Ma anche questa volta, non si accorse della farina che si era sparsa su tutto il percorso.

Il mattino dopo, il re, la regina e tutta la guardia reale seguirono la traccia di farina fino alla porta del soldato.

“Prendetelo! – disse il re – è lui che ogni notte rapisce la principessa! Domani sarà impiccato!”

Le guardie presero il soldato, lo trascinarono via e lo rinchiusero nella cella più buia della prigione reale. Rimasto solo, il soldato mise la mano in tasca per prendere l’acciarino… ma non lo trovò! L’acciarino era rimasto in albergo! Quella notte, il soldato non chiuse occhio.

La mattina dopo una gran folla si dirigeva verso la piazza dove avrebbero impiccato il soldato. Il soldato guardava la folla passare dalla finestrella della sua cella, aggrappato alle sbarre.

“Psst! Psst! Ehi! Soldato!”

Il soldato guardò giù e vide un ragazzo fermo sotto la sua finestra.

“Soldato! Mi manda la principessa. Non vuole che tu sia impiccato, chiede se può fare qualcosa per aiutarti.”

La principessa!

“Mio buon amico! Corri subito al mio albergo, troverai un acciarino dentro un sacchetto di velluto rosso. Prendilo e portamelo subito qui!”

Il ragazzo corse via, facendosi largo tra la folla a gomitate. Passarono cinque minuti, dieci minuti, venti minuti, mezz’ora. Il soldato sentì dei passi sulle scale… Le guardie del re che venivano a prenderlo per impiccarlo!

“Psst! Psst” Ehi, soldato!”

Sotto la finestra della cella c’era il ragazzo, con in mano l’acciarino!

“Che tu sia benedetto ragazzo, mi hai salvato la vita!”

Il soldato tese la mano fuori dalle sbarre, prese l’acciarino, lo mise in tasca… BAM! La porta della cella si spalancò ed entrarono le guardie del re.

“È ora di dondolare soldato!”

Presero il soldato, gli legarono i polsi, lo trascinarono fuori dalla cella, fino al patibolo in mezzo alla piazza. Attorno a lui, la folla che gridava, lo insultava, fischiava… In fondo alla piazza, un palco con il re e la regina.

“Ultimo desiderio?” disse il re dal suo palco.

“Vorrei tanto fare un’ultima fumatina con la mia pipa!”

“Concesso” disse il re.

Le guardie slegarono i polsi al soldato. Il soldato mise le mani in tasca, prese la pipa…

prese l’acciarino e batté una volta! [tzz] Due volte! [tzz, tzz], Tre volte! [tzz, tzz, tzz]

Subito, attorno a lui comparvero i tre enormi cani, che si lanciarono abbaiando sul boia e sulle guardie.

I cani liberarono il soldato, fecero a pezzi il patibolo e si lanciarono verso il palco con il re e la regina. Il re prese per mano la regina e iniziò a correre! I cani, dietro!

“Soldato! Fermate queste bestie! È un ordine!” gridava il re.

“Solo se prima mi darete salva la vita e libererete la principessa dal suo palazzo di rame.”

“Va bene, soldato! Va bene! Va bene! Ma fermate queste bestie!”

“Ho la vostra parola?”

“Sì, sì, ma fermate queste bestie!”

Il soldato fece un fischio. Subito, i cani smisero di inseguire il re e tornarono verso di lui scodinzolando. Il re mandò una carrozza a prendere la principessa. Quando la principessa arrivò e vide il soldato ancora vivo, gli si buttò tra le braccia.

“Con il vostro permesso, maestà – disse il soldato – vorrei chiedere la mano di vostra figlia.”

“Giammai! – fece il re.

I tre cani scoprirono i denti: “grrr”

“E va bene, va bene… Concesso.”

Così, il soldato e la principessa divennero re e regina.

I tre cani divennero “gran custodi ufficiali del regno”: portavano un collarino d’oro e ogni giorno gli venivano serviti, in ciotole d’argento, i bocconi più prelibati. 


☞ Questa storia è ispirata a una fiaba scritta da Hans Christian Andersen.

Nota: questi non sono i testi originali delle storie, ma le versioni raccontate da Silvia nel podcast. Puoi condividerle, ma non copiarle e devi sempre citare la fonte e il sito. Il modo più semplice? Condividi il link della pagina!

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La colomba e la formica

Una formichina cade in un ruscello, chi l’aiuterà?

Silvia racconta al drago Scott la storia di una colomba e di una formica: perché se si è gentili l’uno con l’altro, poi possono nascere delle bellissime amicizie!

✨⬇️ ASCOLTA LE FAVOLE DI SILVIA E SCOTT!

La colomba e la formica

C’era una volta una formica, che in una bella giornata di sole portava delle briciole nella sua tana. A un tratto, vide passare nel cielo una colomba, tutta bianca, con le ali spiegate!

«Oh, com’è bella – pensò la formichina – e come vola bene! Oh, quanto piacerebbe anche a me, volare così alto nel cielo. Chissà quante belle cose si devono vedere da lassù!»

La formichina era così assorta a guardare la colomba nel cielo, che non guardava neppure dove metteva i piedi. E un passo, due passi e pluf! Si ritrovò in un ruscello!

«Aiuto! – gridò la formichina, che non sapeva nuotare – aiuto!»

La formichina si dibatteva, ma la corrente del ruscello la trascinava via, sempre più lontano e sempre più giù. La colomba dall’alto sentì il grido della formichina, la vide in mezzo al ruscello e subito si buttò giù, in picchiata. Prese un ramoscello dalla riva e lo calò fino alla formichina. Battendo le ali, si tenne sospesa sull’acqua, in modo che la formichina potesse aggrapparsi forte forte al ramoscello che la colomba le porgeva. Poi, la colomba si alzò in volo, trasportando con sé la formichina: fuori dal ruscello e al sicuro e all’asciutto sulla riva del fiume.

La povera formichina era tutta bagnata e sputacchiava acqua da tutte le parti. Quando la colomba vide che si era un po’ ripresa, chinò il capino per salutarla e riprese il suo volo.

La formichina si scrollava l’acqua di dosso, tutta intirizzita.

«Oh povera me che figura! Ho rischiato anche di affogare… non riuscirò mai a ripagare la colomba per quello che ha fatto per me».

Dopo essersi un po’ riposata e un po’ scaldata al sole, la formichina riprese il suo lavoro: cercava le briciole e le trasportava nella sua tana. A un tratto, vide la colomba, che si era posata  sul ramo di un albero lì vicino. Appena la vide, le corse incontro per salutarla, ma quando giunse vicino all’albero… “Oh!” Vicino all’albero c’era un grosso gatto, che stava appostato proprio sotto il ramo dove si era posata la colomba. E la guardava… la guardava come si guarda un piatto di spaghetti quando si ha fame! E si leccava i baffi! La formichina rimase impietrita dalla paura:

«Quel brutto gatto vuole sicuramente mangiarsi la colomba! Cosa posso fare, cosa posso fare!?»

La formichina si sentiva troppo piccola per affrontare da sola quel brutto gatto, ma quando vide che il gatto stava proprio per balzare addosso alla colomba e papparsela in un boccone… corse verso il gatto, si arrampicò sulla sua schiena e sgnac! Gli morse la coda.

«Mieeow!» Il gatto fece un balzo alto due metri, ripiombò a terra e fuggì via come una furia.

La colomba, sentendo tutto quel trambusto, si era alzata in volo spaventatissima! Ma quando vide che il gatto scappava, ritornò pian piano verso terra e si posò vicino alla formichina.

«Sei stata tu a salvarmi da quel brutto gatto?» chiese la colomba.

«Sì… Sono stata io… Ho visto che stava per saltarti addosso e mangiarti e gli ho morso la coda» rispose la formichina.

«Ti ringrazio. Che cosa posso fare per sdebitarmi?»

«Ma, veramente… tu prima mi hai salvata dal ruscello e quindi… era il minimo che potessi fare.»

«Allora vuol dire che siamo pari.»

La colomba sorrise alla formichina e poi disse:

«Però, forse c’è qualcosa che posso fare per te: ti andrebbe di fare un volo con me e vedere il mondo dall’alto?»

«Oh, sì! mi piacerebbe proprio tanto tanto!»

«Allora andiamo, sali sulla mia groppa e io ti porterò in volo.»

«Che bello!»

La formichina salì subito sulla groppa della colomba, che aprì le ali e si alzò in volo. La formichina dovette aggrapparsi forte forte alle penne della colomba: com’era grande il mondo visto da lassù! La formichina era senza parole. 

«Se ti piace così tanto volare – disse la colomba – potremmo fare un patto: io verrò da te ogni giorno e ti farò fare un voletto.»

«Sì, mi piacerebbe tanto!»

«Mi piace avere compagnia quando volo – disse la colomba – Sono sicura che diventeremo grandi amiche».

E così fu. Da quel giorno, la colomba passava sempre a casa della formichina: mangiavano assieme e poi la colomba portava la formica a fare un voletto. Le due divennero inseparabili.

La favola mostra che bisogna ricambiare i benefattori.

Esopo

☞ Questa storia è ispirata a una favola di La Fontaine (originale di Esopo).

Nota: questi non sono i testi originali delle storie, ma le versioni raccontate da Silvia nel podcast. Puoi condividerle, ma non copiarle e devi sempre citare la fonte e il sito. Il modo più semplice? Condividi il link della pagina!

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Presentati GIU

Quindi che famo?

Questo è un articolo di esempio, pubblicato originariamente come parte della Blogging University. Abbonati a uno dei nostri dieci programmi e inizia bene il tuo blog.

Oggi pubblicherai un articolo. Non preoccuparti di come appare il blog. Non preoccuparti se non gli hai ancora dato un nome o ti senti sopraffatto. Devi solo fare clic sul pulsante “Nuovo articolo” e dirci perché sei qui.

Perché lo fai?

  • Perché darà un nuovo contesto ai lettori. Di cosa vuoi parlare? Perché dovrebbero leggere il tuo blog?
  • Perché ti aiuterà a focalizzare le idee e cosa ti piacerebbe realizzare con il tuo blog.

L’articolo può essere breve o lungo, un’introduzione personale alla tua vita o una dichiarazione d’intenti tipica da blog, un manifesto per il futuro o un semplice schema dei tipi di cose che speri di pubblicare.

Per aiutarti a iniziare, ecco alcune domande:

  • Perché stai scrivendo su un blog pubblico, invece di tenere un diario personale?
  • Di quali argomenti pensi che scriverai?
  • Con chi ti piacerebbe connetterti tramite il blog?
  • Se il blog avrà successo nel corso del prossimo anno, quale scopo speri avrai raggiunto?

Non sei incatenato a nessuna di queste cose: uno degli aspetti meravigliosi dei blog è il modo in cui si evolvono costantemente a mano a mano che impariamo, cresciamo e interagiamo con gli altri, ma è bene sapere dove e perché hai iniziato e formulare i tuoi obiettivi potrebbe ispirarti qualche altro articolo.

Ciao!

Non riesci a pensare a come iniziare? Scrivi la prima cosa che ti viene in mente. Anne Lamott, autrice di un libro che amiamo sullo scrivere, dice che devi darti il permesso di scrivere una “prima bozza scadente”. Anne fa esattamente il punto: inizia a scrivere e preoccupati di modificarlo solo in un secondo momento.

Quando sei pronto per pubblicare, assegna al tuo articolo da tre a cinque tag che descrivano il focus del tuo blog: scrivere, fotografia, fiction, genitorialità, cibo, automobili, film, sport, qualsiasi cosa. I tag aiuteranno le persone che si interessano di questi argomenti a trovarti nel Lettore. Assicurati che uno dei tag sia “zerotohero”, in modo che anche altri nuovi blogger possano trovarti.

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La colomba e la formica GIU

Una formichina cade in un ruscello… chi l’aiuterà?

Silvia racconta al drago Scott la storia di una colomba e di una formica: perché se si è gentili l’uno con l’altro, poi possono nascere delle bellissime amicizie!

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La colomba e la formica

C’era una volta una formica, che in una bella giornata di sole portava delle briciole nella sua tana. A un tratto, vide passare nel cielo una colomba, tutta bianca, con le ali spiegate!

“Oh, com’è bella – pensò la formichina – e come vola bene! Oh, quanto piacerebbe anche a me, volare così alto nel cielo. Chissà quante belle cose si devono vedere da lassù!”

La formichina era così assorta a guardare la colomba nel cielo, che non guardava neppure dove metteva i piedi. E un passo, due passi e pluf! Si ritrovò in un ruscello!

“Aiuto! – gridò la formichina, che non sapeva nuotare – aiuto!”

La formichina si dibatteva, ma la corrente del ruscello la trascinava via, sempre più lontano e sempre più giù. La colomba dall’alto sentì il grido della formichina, la vide in mezzo al ruscello e subito si buttò giù, in picchiata. Prese un ramoscello dalla riva e lo calò fino alla formichina. Battendo le ali, si tenne sospesa sull’acqua, in modo che la formichina potesse aggrapparsi forte forte al ramoscello che la colomba le porgeva. Poi, la colomba si alzò in volo, trasportando con sé la formichina: fuori dal ruscello e al sicuro e all’asciutto sulla riva del fiume.

La povera formichina era tutta bagnata e sputacchiava acqua da tutte le parti. Quando la colomba vide che si era un po’ ripresa, chinò il capino per salutarla e riprese il suo volo.

La formichina si scrollava l’acqua di dosso, tutta intirizzita.

“Oh povera me che figura! Ho rischiato anche di affogare… non riuscirò mai a ripagare la colomba per quello che ha fatto per me.”

Dopo essersi un po’ riposata e un po’ scaldata al sole, la formichina riprese il suo lavoro: cercava le briciole e le trasportava nella sua tana. A un tratto, vide la colomba, che si era posata  sul ramo di un albero lì vicino. Appena la vide, le corse incontro per salutarla, ma quando giunse vicino all’albero… “Oh!” Vicino all’albero c’era un grosso gatto, che stava appostato proprio sotto il ramo dove si era posata la colomba. E la guardava… la guardava come si guarda un piatto di spaghetti quando si ha fame! E si leccava i baffi! La formichina rimase impietrita dalla paura:

“Quel brutto gatto vuole sicuramente mangiarsi la colomba! Cosa posso fare, cosa posso fare!?”

La formichina si sentiva troppo piccola per affrontare da sola quel brutto gatto, ma quando vide che il gatto stava proprio per balzare addosso alla colomba e papparsela in un boccone… corse verso il gatto, si arrampicò sulla sua schiena e sgnac! Gli morse la coda.

“Mieeow!” Il gatto fece un balzo alto due metri, ripiombò a terra e fuggì via come una furia.

La colomba, sentendo tutto quel trambusto, si era alzata in volo spaventatissima! Ma quando vide che il gatto scappava, ritornò pian piano verso terra e si posò vicino alla formichina.

“Sei stata tu a salvarmi da quel brutto gatto?” chiese la colomba.

“Sì… Sono stata io… Ho visto che stava per saltarti addosso e mangiarti e gli ho morso la coda” rispose la formichina.

“Ti ringrazio. Che cosa posso fare per sdebitarmi?”

“Ma, veramente… tu prima mi hai salvata dal ruscello e quindi… era il minimo che potessi fare.”

“Allora vuol dire che siamo pari.”

La colomba sorrise alla formichina e poi disse:

“Però, forse c’è qualcosa che posso fare per te: ti andrebbe di fare un volo con me e vedere il mondo dall’alto?”

“Oh, sì! mi piacerebbe proprio tanto tanto!”

“Allora andiamo, sali sulla mia groppa e io ti porterò in volo”

“Che bello!”

La formichina salì subito sulla groppa della colomba, che aprì le ali e si alzò in volo. La formichina dovette aggrapparsi forte forte alle penne della colomba: com’era grande il mondo visto da lassù! La formichina era senza parole. 

“Se ti piace così tanto volare – disse la colomba – potremmo fare un patto: io verrò da te ogni giorno e ti farò fare un voletto.”

“Sì, mi piacerebbe tanto!”

“Mi piace avere compagnia quando volo – disse la colomba – Sono sicura che diventeremo grandi amiche.”

E così fu. Da quel giorno, la colomba passava sempre a casa della formichina: mangiavano assieme e poi la colomba portava la formica a fare un voletto. Le due divennero inseparabili.

La favola mostra che bisogna ricambiare i benefattori.

Esopo

☞ Questa storia è ispirata a una favola di La Fontaine (originale di Esopo).

Nota: questi non sono i testi originali delle storie, ma le versioni raccontate da Silvia nel podcast. Puoi condividerle, ma non copiarle e devi sempre citare la fonte e il sito. Il modo più semplice? Condividi il link della pagina!

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