Nel giardino di un grande imperatore, vive un piccolo usignolo dal canto prodigioso.
Al drago Scott piacerebbe tanto essere imperatore, ma il potere e la ricchezza basteranno per comprare un vero amico?
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L’usignolo
Il palazzo dell’imperatore della Cina era il più grande e il più bello di tutto il mondo. Le pareti erano fatte di giada, i tetti erano d’oro, le finestre di cristallo purissimo. Tutto intorno al palazzo c’era un immenso giardino, con sentieri, fiori, fontane, alberi altissimi. Oltre il giardino, un bosco. Oltre il bosco, il mare.
Sull’albero più alto del giardino dell’imperatore, aveva fatto il suo nido un usignolo.
Ogni sera, l’usignolo saliva sul ramo più alto dell’albero più alto del giardino dell’imperatore, apriva il becco e cantava. Quando l’usignolo cantava, sul giardino, sul bosco e sul mare scendeva il silenzio. Tutti gli animali del bosco si fermavano per ascoltare, le onde del mare si fermavano per ascoltare e persino la luna scendeva nel cielo a illuminare il ramo su cui cantava l’usignolo.
Ogni anno molte persone venivano a visitare il palazzo dell’imperatore. Passeggiavano per il palazzo e dicevano: «Magnifico palazzo!» Passeggiavano per il giardino: «Splendido giardino!» Ma quando sentivano il canto dell’usignolo, non dicevano niente, perché rimanevano ad ascoltare a bocca aperta.
Una sola persona non sapeva del canto dell’usignolo: l’imperatore!
L’imperatore era sempre chiuso nelle sue stanze, con consiglieri, ministri, dignitari a prendere decisioni importanti, a governare il suo impero… Non aveva tempo per andare a passeggiare nel giardino e non aveva mai sentito il canto dell’usignolo.
Un giorno arrivò a visitare il palazzo dell’imperatore un famoso poeta. Il poeta passeggiò per il palazzo: «Magnifico palazzo!» Passeggiò per il giardino: «Splendido giardino!»
Poi, sentì il canto dell’usignolo. Il poeta ascoltò il canto con gli occhi chiusi. Sentiva nel cuore il desiderio di essere buono, buonissimo… con tutti. L’usignolo terminò canto e chiuse il becco. Il poeta tornò subito nelle sue stanze e scrisse una poesia in lode dell’usignolo:
“La Cina ha molte cose da ammirare,
ma il canto dell’usignolo non si può eguagliare:
commuove le pietre
e incanta le onde del mare.”
Prima di partire, il famoso poeta regalò la poesia all’imperatore.
Quando l’imperatore lesse la poesia, andò su tutte le furie:
«Nel mio giardino c’è un usignolo prodigioso e io non ne so nulla??»
I consiglieri e i dignitari non sapevano cosa rispondere, perché anche loro erano sempre chiusi nelle stanze dell’imperatore, a prendere decisioni importanti, a consigliare l’imperatore… non avevano tempo per passeggiare nel giardino e non avevano mai sentito il canto dell’usignolo!
Un cavaliere, più coraggioso degli altri, si fece avanti, si inchinò all’imperatore e disse:
«Maestà, sono sicuro che questo poeta ha immaginato l’usignolo…»
L’imperatore guardò furente il cavaliere:
«Come osi contraddire la mia maestà imperiale? Cavaliere, se non mi porti l’usignolo entro la mezzanotte sarai bandito per sempre dal mio impero!»
Il cavaliere si inchinò all’imperatore e uscì piano piano dalla sala del trono. Andò alle scuderie, prese il suo cavallo e si diresse verso il giardino.
Anche il cavaliere non aveva mai sentito il canto dell’usignolo: era sempre in viaggio nell’impero a portare i messaggi dell’imperatore, a combattere le guerre dell’imperatore… non aveva tempo per passeggiare nel giardino e non sapeva dove cercarlo, questo usignolo!
Il cavaliere camminò per il giardino, cavalcò per il giardino, per tutto il giorno, per tutta la sera… senza trovare l’usignolo!
Mancavano ormai solo due ore alla mezzanotte!
«Non riuscirò mai a trovare l’usignolo!» pensò il cavaliere.
Il cavaliere tornò verso il palazzo dell’imperatore, si sedette su una panchina, si prese il viso tra le mani… e pianse.
«Bel cavaliere…»
Il cavaliere si alzò di scatto. Davanti a lui c’era una giovane donna, una cameriera delle cucine imperiali.
«Bel cavaliere, io so perché piangete. Non disperate: conosco l’usignolo. Sento il suo canto ogni sera».
Il cavaliere si buttò in ginocchio davanti alla ragazza:
«Tu mi salvi la vita! Se mi porti da questo usignolo, io ti farò diventare la prima cuoca delle cucine imperiali!»
«Sta bene – disse la ragazza – venite con me».
La ragazza condusse il cavaliere lungo i sentieri del giardino, fino all’albero più alto del giardino dell’imperatore.
«Shht! – la ragazza si portò un dito alle labbra – Non fate rumore».
Indicò col dito la cima dell’albero: sul ramo più alto dell’albero più alto del giardino dell’imperatore, c’era un piccolo uccellino con le penne grigie.
«Ma non è possibile!» esclamò il cavaliere.
«Shht!»
«Ma non è possibile! – disse il cavaliere – Un uccellino così piccolo non può essere l’usignolo!»
«Ascoltate…»
L’usignolo aprì il becco e cantò.
Sul giardino, sul bosco e sul mare scese il silenzio. Tutti gli animali del bosco si fermarono per ascoltare, le onde del mare si fermarono per ascoltare e la luna scese nel cielo a illuminare l’usignolo.
Il cavaliere ascoltò il canto con gli occhi chiusi. Sentiva nel cuore il desiderio di essere buono, buonissimo con tutti.
L’usignolo terminò il suo canto e chiuse il becco.
Il cavaliere aprì gli occhi. La ragazza gli sorrise e si rivolse all’usignolo:
«Amico usignolo, l’imperatore vorrebbe tanto sentire il tuo canto: vorresti venire con me a palazzo?»
L’usignolo piegò il capino da un lato:
«Volentieri!»
L’usignolo aprì le ali e seguì volando la ragazza e il cavaliere.
Quando arrivarono a palazzo, trovarono l’imperatore nella sala del trono. La sala era gremita di ministri, di consiglieri, di dame e di cavalieri. L’imperatore stava seduto sul suo trono, vestito dei suoi abiti più ricchi, con in testa la corona. Tutta la sala scintillava di specchi, di luci, di lampadari d’oro.
Il piccolo usignolo si sentiva ancora più piccolo, in mezzo a tutto quello splendore. L’imperatore indicò un trespolo accanto al suo trono. L’usignolo si posò sul trespolo.
«Usignolo, canta per me» disse l’imperatore.
L’usignolo aprì il becco, ma dal becco non uscì alcun suono.
L’imperatore guardo furente il cavaliere:
«Sarebbe questo, l’usignolo??»
«Sì… – disse l’usignolo – sono io… ma… io sono abituato a cantare nel bosco, al buio, con i miei amici…»
L’imperatore ordinò di aprire le finestre e spegnere le luci! Dalle finestre aperte entrarono insetti, uccellini e scoiattoli e la luna scese nel cielo a illuminare l’usignolo.
L’usignolo aprì il becco e cantò.
Nella sala del trono scese il silenzio. I dignitari, i ministri, le dame e i cavalieri ascoltavano con gli occhi chiusi, sentivano nel cuore il desiderio di essere buoni, buonissimi… con tutti.
L’imperatore ascoltava immobile sul suo trono e dai suoi occhi – tuc… tuc… – cadevano grosse lacrime.
L’usignolo terminò il canto e chiuse il becco. L’imperatore aprì gli occhi.
«Usignolo, io voglio che tu rimanga qui, a palazzo».
L’usignolo chinò il capino.
L’usignolo divenne il cantore ufficiale dell’impero. Stava su un trespolo d’oro accanto al trono dell’imperatore e ogni sera cantava per l’imperatore e la sua corte. Ma non era felice. Poteva uscire solo due volte al giorno e ogni volta che usciva, dodici dignitari lo seguivano tenendo un cordino legato alle sue zampe.
Un giorno, al palazzo dell’imperatore arrivarono degli ambasciatori dal Giappone, con un regalo dentro una scatola. I consiglieri presero la scatola e la portarono davanti all’imperatore.
Sopra la scatola c’era un bigliettino con scritto:
“L’usignolo del Giappone è più bravo dell’usignolo della Cina. Firmato: l’imperatore del Giappone”.
L’imperatore ordinò ai consiglieri di aprire la scatola.
Nella scatola c’era un usignolo meccanico, tutto d’oro e tempestato di pietre preziose.
I consiglieri caricarono la molla dell’usignolo meccanico. L’usignolo meccanico cantò una delle melodie dell’usignolo vivo, muovendo il capino e la coda. Finito il canto, l’usignolo fece un inchino meccanico e si fermò.
L’imperatore andò su tutte le furie:
«Come osa l’imperatore del Giappone insultare me e il mio usignolo? Dichiarerò guerra all’imperatore Giappone!»
I consiglieri fecero notare che in fondo era un bellissimo regalo e che non era il caso di dichiarare guerra per così poco…
L’imperatore fece scrivere una risposta all’imperatore del Giappone:
“Sua eccelsa maestà imperiale l’imperatore della Cina ringrazia per il regalo”.
E dietro il biglietto, a caratteri piccini piccini piccini:
“Però, l’usignolo della Cina è più bravo del vostro!”
Poi, l’imperatore ordinò di preparare un concerto:
«Faremo cantare insieme i due usignoli: dimostreremo che l’usignolo vivo è più bravo dell’usignolo meccanico».
I consiglieri prepararono un concerto magnifico. La sala era gremita di ministri, di consiglieri, di dame e di cavalieri. L’imperatore era seduto sul suo trono, vestito dei suoi abiti più ricchi, con in testa la corona. La sala scintillava di specchi, di luci, di lampadari. Ai lati del trono stavano due trespoli: uno con l’usignolo vivo; uno con l’usignolo meccanico.
«Canterà per primo l’usignolo meccanico» disse l’imperatore.
I consiglieri caricarono la molla dell’usignolo meccanico. L’usignolo meccanico cantò una delle melodie dell’usignolo vivo, muovendo il capo e la coda. Finita la canzone, fece un inchino meccanico e si fermò.
«Adesso, canterà l’usignolo vivo» disse l’imperatore.
Tutti si volsero verso il trespolo dell’usignolo vivo… ma il trespolo era vuoto. L’usignolo vivo era volato via dalla finestra aperta.
L’imperatore andò su tutte le furie:
«L’usignolo vivo sarà bandito per sempre dal mio impero! D’ora in poi l’usignolo meccanico sarà il cantore ufficiale dell’impero.»
L’usignolo meccanico divenne il cantore ufficiale dell’impero. Stava su un trespolo d’oro accanto al trono dell’imperatore e ogni sera cantava per l’imperatore e la sua corte.
Ma un brutto giorno, qualcosa dentro l’usignolo meccanico fece “crac!”. L’usignolo meccanico rimase col capino piegato da un lato, immobile. L’imperatore fece chiamare l’orologiaio imperiale. L’orologiaio, con i suoi strumenti, aprì l’usignolo meccanico:
«Maestà, il meccanismo è troppo rovinato: posso ripararlo, ma l’usignolo potrà cantare solo una volta all’anno».
L’imperatore si rassegnò:
«L’usignolo meccanico canterà una volta all’anno, nel giorno del mio compleanno».
L’usignolo meccanico da quel giorno cantò una volta all’anno, nel giorno del compleanno dell’imperatore.
Passarono gli anni e un giorno l’imperatore si ammalò. Si ammalò così gravemente che in poco tempo stava per morire. Allora, i dignitari, i consiglieri e tutto il popolo andarono al palazzo dall’imperatore, per vederlo un’ultima volta… ma l’imperatore non poteva vedere nessuno. Stava solo nella sua stanza, sdraiato nel letto, con accanto l’usignolo meccanico e respirava a fatica.
L’imperatore sentiva un gran peso sul petto. Nella sua mente passavano le immagini di tutte le azione che aveva fatto nella sua vita: le cose buone e le tante, tante cose cattive, le guerre, le condanne…
«Musica! Musica! – gridava l’imperatore – Musica! Non voglio vedere le cose brutte che ho fatto, non voglio sentire il male che ho fatto! Musica! Musica! Usignolo, ti ho riempito di regali. Canta! Canta!»
Ma l’usignolo era meccanico: non c’era nessuno che lo caricasse e da solo non poteva cantare.
A un tratto, dalla finestra aperta entrò un canto melodioso. Era l’usignolo vivo: aveva saputo che l’imperatore era ammalato ed era corso a confortarlo. L’usignolo cantava e cantava… e il peso sul petto dell’imperatore diventava più leggero. L’usignolo cantava e cantava… e le immagini delle azioni cattive lasciavano libero l’imperatore. L’usignolo cantava e cantava… e all’imperatore tornavano le forze. L’usignolo terminò il canto e chiuse il becco: l’imperatore era guarito.
L’imperatore si alzò dal letto, si buttò in ginocchio davanti all’usignolo:
«Usignolo, mi hai salvato la vita. Cosa posso fare per ripagarti?»
«Nulla – cinguettò l’usignolo – la prima volta che ho cantato per te, tu hai pianto. A me basta questo. Io, invece, posso fare qualcos’altro per te. Tu non devi stare sempre chiuso nelle tue stanze: devi uscire, parlare con i tuoi sudditi, con la gente. Io posso aiutarti. Volando, io posso arrivare dove tu non puoi: posso posarmi sulle case dei ricchi e sulle case dei poveri. Se seguirai i miei consigli, potrai governare in modo giusto e non fare più tante azioni cattive. Però non dire a nessuno che ti racconta tutto un uccellino».
Così fu: da quel giorno, l’imperatore seguì i consigli dell’usignolo e il suo impero fu giusto e felice per molto e molto tempo.
☞ Questa storia è ispirata a una fiaba di Hans Christian Andersen.
Nota: questi non sono i testi originali delle storie, ma le versioni raccontate da Silvia nel podcast. Puoi condividerle, ma non copiarle e devi sempre citare la fonte e il sito. Il modo più semplice? Condividi il link della pagina!


